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mercoledì 10 febbraio 2016

[cinema] Di Tarantino, del Western e del Cinema. The Hateful Eight

San Remo, San Valentino, San Padre Pio. Nel dubbio questa settimana mi sono votata a San Quentin Tarantino (forse necessito di guida per riconoscere i miei santi, scusate la cit.).
Con la sua ottava pellicola il regista dei film più visionari, interessanti e discussi degli ultimi anni (decenni), ci regala un film spalmato sui 70mm che è innanzitutto omaggio visivo al genere western (senza dubbio tra i generi che possiamo considerare "padri fondatori" del cinema). A partire - ovviamente! - da Ombre Rosse: il viaggio della diligenza, i personaggi a bordo, persino nelle loro posture e nei campi e controcampi coi quali la mdp li filma, l'emporio/saloon di Minnie, le pistole e i cinturoni... il western perfetto e compiuto di John Ford è al contempo omaggiato e trattato con (rispettosa) ironia. D'altra parte si allude esplicitamente alle Ombre Rosse fordiane non solo con le immagini ma anche con i nomi (la città di Red Rock, la battaglia inventata di Baton Rouge) e con ogni minimo dettaglio, spesso rosso, che compare nel profilmico. Un riferimento che è più di omaggio; è la re-invenzione di un genere e di un mondo che Tarantino staglia sul bianco accecante di una distesa di neve infinita. Su quello spazio candido ri-scrive come su un foglio bianco il cinema, quel cinema alla base della sua vita da spettatore, e stavolta torna a farlo come non accadeva dai tempi de Le iene (per chi scrive, capolavoro insuperato del regista, almeno finora). Perché con The Hateful Eight ci troviamo di fronte a un cinema di sceneggiatura, fortemente scritto – non che i precedenti non lo fossero – dove le parole pronunciate dai personaggi e i loro dialoghi creano l’architettura del film, lo spazio e il tempo, dove la narrazione inventa la storia.
Sono i dialoghi e le parole a costruire e ad accompagnare lo sguardo su scene e personaggi che sono già icone e che pre-esistono al filmato, nonostante la loro identità labile (personaggi che fingono fino alla fine), incarnati dagli attori simbolo di Tarantino, da Samuel Jackson a Michael Madsen da Tim Roth a Jennifer Jason Leigh. Una fauna di impostori che si inventano, si nominano, si riconoscono e disconoscono a vicenda, per poi uccidersi l’un l’altro (con le parole e con fiumi di sangue rosso che li inondano e, ricoprendoli, scoprono forse i loro giochi).
In un andamento circolare al quale il cinema di Tarantino ci ha abituati e che – si percepisce fortemente – lo fa divertire come un matto. Come noi.     

The Hateful Eight - Quentin Tarantino
Ombre Rosse - John Ford
 

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